Il Terremoto che trasformò per sempre la filosofia degli esseri pensanti

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Bisognerebbe mettere assieme tutto ciò che l'immaginazione può rappresentarsi di terribile per riuscire a farsi un'idea approssimativa dello sgomento che coglie gli uomini quando la terra sotto i loro piedi si muove, quando tutto crolla intorno, quando le acque sconvolte sin negli abissi completano la sciagura con le inondazioni, quando la paura della morte, la disperazione per la perdita completa di tutti i beni e infine la vista di altri infelici abbattono anche gli animi più coraggiosi.” 

Così Kant scriveva in Storia e descrizione naturale degli straordinari eventi del terremoto che alla fine del 1755 ha scosso gran parte della terra in merito ad uno dei più devastanti disastri naturali della storia europea.

È il primo novembre 1755, giorno di Ognissanti. Alle 9,40 del mattino, a Lisbona, le chiese sono affollate di gente e di ceri accesi per le celebrazioni liturgiche, quando tre scosse di terremoto (nono grado della scala Richter) che si susseguono per diciassette minuti fanno crollare i palazzi più grandi e le chiese, causando la fuga disordinata delle persone verso la costa e la foce del fiume Tago che credevano più sicure.

Non possono sapere che il terremoto si è generato in mare, a 200 km dalla costa, e che un maremoto sta per abbattersi sulla città. Le onde alte sedici metri fanno migliaia di vittime, dopo quelle causate dai crolli e da un gigantesco incendio divampato subito dalle candele che ogni famiglia ha acceso per Ognissanti. Si conteranno, infine, sessantamila vittime e oltre centomila feriti sui duecentomila abitanti della città.

Il terremoto viene avvertito in tutta Europa da scienziati, filosofi e persone comuni: lo avvertono in Germania Goethe e Kant, in Francia Voltaire, in Svizzera Rousseau.

Questo evento catastrofico sollevò diverse questioni filosofiche e morali, tra cui il problema del male nel mondo e sulla questione di come conciliare la presenza del male con l’esistenza di un Dio buono e onnipotente.

Si arrivò alla critica dell’ottimismo razionalista, che era un’idea diffusa dell’epoca secondo cui il mondo era il migliore dei mondi possibili e che tutto ciò che accadeva era necessario e in linea con il piano divino. Il terremoto di Lisbona dimostrò l’inesattezza e la crudeltà della natura e mise in discussione questa visione ottimistica. Molti filosofi del tempo si interessarono al terremoto di Lisbona e alla sua influenza sul pensiero filosofico.

La tesi di Rousseau è che non la natura, le cui leggi coincidono con la volontà divina, ma l’uomo è causa della propria rovina «Restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto » [Rousseau, Lettera a Voltaire sul disastro di Lisbona].

Gli abitanti di Lisbona, secondo Rousseau, hanno offeso la semplicità della natura, costruendo una capitale dove si sono ammassate migliaia di persone che, se fossero rimaste in un ambiente naturale, non avrebbero perso la vita.

Kant pubblica tre scritti sui terremoti nei quali prende le distanze dalle interpretazioni teologiche, sostenendo che i terremoti sono fenomeni naturali e non manifestazioni del divino e che, alla luce di questi fenomeni, l’uomo deve ricordarsi della sua limitatezza e cogliere l'insegnamento che gli viene dalla natura di non considerarsi come il fine unico e supremo dell'universo poiché l'uomo «non è stato generato per erigere dimore eterne su questo palcoscenico di vanità».

Dopo il terremoto, Lisbona viene ricostruita su nuove basi: gli edifici vengono progettati perché rispondano in modo elastico alle scosse, la maiolica (azulejos), ignifuga, prende il posto delle pavimentazioni di legno, mentre si pongono le basi per un’analisi sistematica delle manifestazioni dei terremoti.