Michele Stefano de Rossi Roma 30 ottobre 1834 - Rocca di Papa 23 ottobre 1898 Si deve a lui la prima rete sismologica realizzata in Italia, la prima scala moderna di intensità macrosismica, la prima rivista di geodinamica e la progettazione e realizzazione di decine di strumenti. |
Nato da una nobile famiglia romana, studiò al Collegio Romano e si laureò in giurisprudenza nel 1855. I suoi interessi geofisici risalgono al 1868 quando, in una lettera alla Gazzetta di Genova, espose un primo abbozzo delle sue idee sull'organizzazione di una rete di osservazione di dati sismici. Per elaborare una statistica cronologica e topografica relativa a tutti i fenomeni sismici anche minori come la variazione di livello dei pozzi, la variazione di temperatura delle sorgenti, lo sviluppo di gas delle solfatare, riteneva necessaria un'organizzazione che garantisse una rete di osservatori dislocata su tutto il territorio per la raccolta sistematica dei dati. Con grande spirito d'iniziativa e notevole senso pratico, si impegnò personalmente, a partire dal 1873, a organizzare una rete di corrispondenti e, l'anno seguente, avviò la pubblicazione del Bullettino del Vulcanismo Italiano, che rappresenta il primo centro di raccolta dei dati e di discussione dei risultati, nonché il principale veicolo promozionale della nascente organizzazione sismologica ancora di tipo privato.
I suoi primi lavori scientifici riguardano le ricerche effettuate collaborando con il fratello Giovanni Battista, celebre archeologo paleocristiano, all’elaborazione e alla pubblicazione della Roma sotterranea cristiana. Si occupò soprattutto del rilievo delle piante e dei livelli delle catacombe, tentando di calcolarne lo sviluppo superficiale e la lunghezza. Questo calcolo richiese la soluzione di notevoli problemi topografici per la cui esecuzione de Rossi ideò e costruì la «macchina icnografica ed ortografica» premiata all’Esposizione Universale di Londra (1862) e a quella di Parigi (1867). Tra il 1866 e il 1871 si interessò soprattutto di paleontologia con ricerche in numerosi siti della campagna romana e nell’area del Vulcano laziale.
I suoi interessi geofisici risalgono al 1868 quando, in una lettera alla Gazzetta di Genova, relativa a una scossa di terremoto sentita nel giugno di quell’anno in diverse località, da lui stesso a Castelgandolfo, esponeva già un primo abbozzo delle sue idee sull’organizzazione di una rete di osservazione, che permettesse la raccolta di dati sull’estensione e sulle modalità di propagazione dei sismi: «I leggeri terremoti passano quasi sempre inavvertiti perché spesso avvengono in ore notturne, raramente se ne comunica la notizia, e più raramente cadono sotto l’osservazione dello studioso. Ognuno intende quanto profitterebbe la scienza dal confronto di molti istrumenti sismografici sparsi in tutto il mondo, i quali fedelmente registrassero ogni movimento della crosta terrestre, la intensità, la durata e la direzione del medesimo».
L’eruzione vesuviana del maggio 1872, i terremoti laziali del gennaio 1873 e, soprattutto, quelli successivi del 12 marzo nelle Marche meridionali e del 29 giugno nel Bellunese rafforzarono la sua convinzione e lo spinsero a raccogliere tutta una serie di notizie e osservazioni che pubblicò poi l’anno seguente in una memoria in cui presentò anche la prima versione di una sua scala delle intensità.
Per de Rossi era chiaro che le grandi manifestazioni dell’"endodinamica terrestre" come i terremoti rovinosi o le grandi eruzioni vulcaniche non rappresentano che i «massimi» di un’attività continua, che generalmente si manifesta in modi meno appariscenti e spesso inapprezabili dalla sensibilità umana. Di qui la necessità di studiarne l’andamento complessivo con osservazioni continue e con strumenti adatti per riuscire a elaborare una «statistica cronologica e topografica» di tutti i fenomeni, anche minori come la variazione di livello dei pozzi, la variazione di temperatura delle sorgenti, lo sviluppo di gas delle solfatare e delle «fontane ardenti», l’eruzione di salse, le perturbazioni magnetiche.
Per fare tutto ciò era necessaria un’organizzazione simile a quella meteorologica, che garantisse una rete di osservatori dislocata su tutto il territorio per la raccolta sistematica dei dati. Con grande spirito d’iniziativa e notevole senso pratico, de Rossi si impegnò personalmente, a partire dal 1873, a organizzare una rete di corrispondenti e l’anno seguente avviò la pubblicazione del Bullettino del Vulcanismo Italiano, che doveva rappresentare il centro di raccolta dei dati e di discussione dei risultati, nonché il principale veicolo promozionale della nascente organizzazione.
Il Bullettino fu la prima vera rivista completamente dedicata alle scienze della Terra. Redatta quasi interamente da de Rossi in prima persona, variò pochissimo la sua struttura durante tutto il periodo di pubblicazione. Si apriva generalmente con uno o più articoli, seguivano diverse pagine di indicazioni bibliografiche, nei primi numeri largamente commentate, quindi c’era la sezione dedicata alle corrispondenze pervenute dai diversi osservatori che avevano deciso di collaborare con de Rossi, e infine i quadri riassuntivi delle osservazioni eseguite nelle stazioni. All’inizio, gli osservatori corrispondenti erano una ventina, compresi studiosi molto conosciuti come Timoteo Bertelli, Domenico Conti, Francesco Denza, Ignazio Galli, Arturo Issel, Antonio Galeazzo Malvasia, Luigi Palmieri, Alessandro Serpieri e Orazio Silvestri.
Dalle pagine del Bullettino de Rossi promosse la realizzazione di strumenti semplici sempre più sensibili e nel numero maggiore di punti osservazione.
Proprio in quest’ottica, de Rossi progettò insieme a Bertelli il "tromometro normale ed economico".
Sparsi in vari volumi della sua rivista si trovano,resoconti relativi a dieci avvisatori sismici o sismoscopi, nove sismografi di diversa fattura, quattro tromometri e quattro microfoni sismici. Lui stesso ideò diversi strumenti ricordiamo soltanto l’autosismografo orario ed economico e i suoi derivati microsismografo e protosismografo facendo sempre attenzione alla semplicità di costruzione e al contenimento dei costi, e perfino al fatto che l’osservatore stesso potesse costruirseli "con oggetti d’uso comune e domestico".
In realtà il successo della grande avventura a cui si era votato quattro anni prima era già molto evidente nel 1877: i corrispondenti del Bullettino erano saliti a 105, Giulio Grablovitz, Pietro Monte, Antonio Stoppani e Torquato Taramelli tra i nuovi, e De Rossi poteva annunciare di essere «riuscito a fondare una quasi società o nuova scuola per gli studii de’ fenomeni endogeni in Italia».
Nel 1881, dopo il rovinoso terremoto di Casamicciola, a Ischia, il Comitato Geologico ottenne dal Ministero di Agricoltura e Commercio l’autorizzazione ad assumersi l’onere del parziale finanziamento dell’organizzazione così faticosamente messa in piedi da de Rossi. L’anno successivo presso la sede stessa del Comitato in via Santa Susanna a Roma venne ufficialmente inaugurato l’Osservatorio ed Archivio Centrale Geodinamico in cui de Rossi trasferì completamente le sue attività e di cui fu nominato direttore.
Il nuovo disastro sismico di Casamicciola nel 1883 spinse il governo a intervenire in maniera ancora più incisiva. Venne istituita la Commissione Geodinamica, di cui de Rossi fu chiamato a far parte, che decise l’istituzione di un «Servizio Geodinamico» su scala nazionale prevedendo, fra le altre cose, la costruzione di tre Osservatorî di «primo ordine» a Catania, Casamicciola e Rocca di Papa.
De Rossi fu incaricato di studiare la sistemazione e di progettare l’edificio che avrebbe dovuto ospitare la stazione di Rocca di Papa; questa era già quasi ultimata quando, nel 1889, il servizio geodinamico fu separato dal Comitato geologico e passò alle dipendenze dell’Ufficio Centrale di Meteorologia. Ciò comportò di fatto l’allontanamento di de Rossi dalla direzione del servizio. Gli fu affidata la direzione dell’Osservatorio di Rocca di Papa dove vennero trasferiti tutti gli strumenti precedentemente impiantati a Santa Susanna e, tuttavia, non c’è dubbio che de Rossi sentì l’intera vicenda come un ingiusto allontanamento dalla gestione dell’organizzazione da lui concepita e creata in lunghi anni di appassionato lavoro.
Cominciò così a ritirarsi dalla parte più attiva delle ricerche, dedicandosi con sempre maggiori difficoltà alla pubblicazione degli ultimi numeri del Bullettino. Alcuni gravi lutti familiari e i primi sintomi della malattia di cui poi morì, lo costrinsero infine quasi all’inattività. Morì a Rocca di Papa il 23 ottobre 1898.